Emma Goldman lo sapeva. Mikhail Bakunin avvertì tutti mezzo secolo prima della Rivoluzione russa. AshantiAlston e Kuwasi Balagoon, i veterani delle Pantere Nere e del Black Liberation Army (Esercito di liberazione nero), giunsero alla stessa conclusione: non esiste un Governo rivoluzionario. Gli strumenti del Governo non possono essere utilizzati per abolire l’oppressione.
Dalla metà del XIX secolo, gli anarchici hanno sostenuto che la chiave della liberazione non consista nell’impadronirsi dello Stato ma nella sua abolizione. Eppure da Parigi a San Pietroburgo, da Barcellona a Pechino, una generazione di rivoluzionari dopo l’altra ha dovuto imparare questa lezione nel modo più duro. Il continuo ricambio dei politici che detengono il potere cambia ben poco. Ciò che conta sono gli strumenti del dominio - polizia, militari, tribunali, sistema carcerario, burocrazia. Che questi strumenti siano manovrati da un re, da un dittatore o da un Congresso, se ti trovi dal lato sbagliato, l’esperienza rimane all’incirca la stessa.
Questo spiega perché il risultato della Rivoluzione Egiziana del 2011-2013 ricorda quello della Rivoluzione Russa del 1917-1921, che rievoca quello della Rivoluzione Francese del 1848-1851. In ogni caso, non appena le persone che hanno fatto la rivoluzione hanno messo da parte ogni tentativo di attuare direttamente il cambiamento sociale e sono passate a investire le proprie speranze sui rappresentanti politici, il potere si è consolidato nelle mani di una nuova autocrazia. Che i nuovi tiranni provenissero dall’esercito, dall’aristocrazia o dalla classe operaia, o che promettessero di ristabilire l’ordine o di impersonare il potere del proletariato, il risultato finale è stato più o meno identico.
Il Governo stesso è una relazione di classe. Non si possono abolire le classi sociali senza abolire l’asimmetria tra governante e governato. L’economia - insieme alla politica - è solo uno dei molti àmbiti in cui i differenziali di potere codificati sono imposti mediante costrutti sociali. La proprietà privata del capitale sta all’economia come il potere dello Stato sta alla politica.
Marx e Lenin crearono un’enorme confusione promettendo che lo Stato sarebbe potuto essere usato per abolire le classi sociali, dopodiché lo Stato avrebbe potuto, in qualche modo, sparire. In altre parole, “i lavoratori” - ovvero, un partito che dichiara di rappresentarli, come qualsiasi altro partito al potere - potrebbero mantenere la polizia, i militari, i tribunali, il sistema carcerario, la burocrazia e tutti gli altri strumenti dello Stato, ma questi inizierebbero magicamente a produrre eguaglianza anzichè diseguaglianza. Ciò fa sorgere una domanda: cos’è lo Stato? Lo Stato è, innanzitutto, la concentrazione della legittimità politica in istituzioni specifiche, in contrapposizione con le persone su cui dominano. Questa è la definizione stessa di diseguaglianza poiché, attraverso queste istituzioni, avvantaggia chi detiene il potere su tutti gli altri. Mentre i marxisti e i leninisti sono riusciti a impadronirsi del potere con successo in dozzine di rivoluzioni, nessuna di queste è riuscita ad abolire le classi sociali - e di conseguenza, anziché svanire, lo Stato è diventato solo più potente e invasivo. Come sostenuto nella Circolare di Sonvilier, “Com’è possibile volere che una società egualitaria e libera sorga da un’organizzazione autoritaria?”
Quando i rivoluzionari tentano di annullare le disparità di classe create dalla proprietà privata del capitale conferendone allo Stato il controllo completo, ciò non fa altro che trasformare la classe detentrice del potere politico nella nuova classe capitalista. Il termine per questo è capitalismo di Stato. Ovunque ci siano rappresentanza politica e gestione burocratica, esisteranno classi sociali. L’unica vera soluzione per le disuguaglianze economiche e politiche è quella di abolire i meccanismi che creano in primo luogo i differenziali di potere - non usando strutture statali, ma organizzando reti orizzontali per l’autodeterminazione e la difesa collettiva che rendano impossibile implementare i privilegi di qualsiasi élite economica o politica. Questo è l’opposto del conquistare il potere.
I Governi di ogni tipo si oppongono a questo progetto. La prima condizione affinché qualsiasi Governo riesca a mantenere il potere è di ottenere il monopolio della forza coercitiva. Sforzandosi di raggiungere un monopolio, i dispotismi fascisti, le dittature comuniste e le democrazie liberali si somigliano tutti. E per raggiungerlo, anche il partito apparentemente più radicale di solito finisce per entrare in combutta con altri giocatori potenti. Questo spiega perché i bolscevichi impiegarono ufficiali zaristi e metodi di controinsurrezione; spiega perché si sono ripetutamente schierati dalla parte della piccola borghesia, prima in Russia e poi in Spagna e altrove, contro gli anarchici. La Storia si avvale del vecchio e menzognero alibi che la repressione bolscevica sia stata necessaria per abolire il capitalismo. Il problema del bolscevismo non fu l’utilizzo della forza bruta per far progredire un programma rivoluzionario, ma che abbia fatto ricorso alla forza bruta per reprimerlo.
Ammetterlo oggi — quando della bandiera dell’Unione Sovietica non rimane altro che uno schermo sfocato e fuggevole su cui le persone possono proiettare ciò che desiderano — non è particolarmente popolare. La generazione cresciuta dopo la caduta dell’Unione Sovietica ha riportato in vita il sogno impossibile che lo Stato potrebbe risolvere tutti i nostri problemi se le persone giuste fossero al comando. Lenin e Stalin sono giustificati dai loro apologeti nello stesso modo in cui il capitalismo lo è dai suoi sostenitori, sottolineando tutto ciò di cui il popolo beneficiò sotto i loro Governi oppure obiettando come questo sia sopraggiunto a causa dei milioni di persone da questi sfruttate, imprigionate e uccise.
In ogni caso, un ritorno al socialismo statale del XX secolo è impossibile. Come recita la vecchia battuta del Blocco sovietico, il socialismo è la dolorosa transizione tra capitalismo e capitalismo. Da questa prospettiva, possiamo vedere che la temporanea ascesa del socialismo nel XX secolo non fu il culmine della storia mondiale predetta da Marx, ma una tappa nella diffusione e nello sviluppo del capitalismo. Il “Socialismo reale” contribuì a industrializzare le economie post-feudali per il mercato mondiale; stabilizzò le forze di lavoro incessanti attraverso questa transizione nello stesso modo in cui il compromesso fordista lo fece in Occidente. Il Socialismo di Stato e il Fordismo furono entrambi espressioni di una tregua temporanea tra lavoro e capitale, resa impossibile dalla globalizzazione neoliberista.
Oggi, lo sfrenato mercato libero capitalista sta per inghiottire le ultime isole di stabilità socialdemocratica, Svezia e Francia incluse. Ovunque i partiti di sinistra siano saliti al potere con la promessa di riformare il capitalismo, alla fine sono stati costretti ad attuare un programma neoliberista che includesse misure di austerità e repressione. Di conseguenza, la loro ascesa al potere ha deprivato i movimenti popolari del loro slancio consentendo al contempo ai reazionari di destra di presentarsi come ribelli per sfruttare le sommosse popolari. Questa storia si è ripetuta in Brasile con il Partito dei Lavoratori, in Grecia con Syriza, in Nicaragua con l’amministrazione Ortega.
L’unico altro modello di Governo “rivoluzionario” è il capitalismo di Stato senza volto rappresentato dalla Cina, in cui le élite stanno accumulando ricchezza a spese dei lavoratori in un modo altrettanto vergognoso come accade negli Stati Uniti. Come l’URSS prima, la Cina conferma che l’amministrazione statale dell’economia non è un passo verso l’egualitarismo.
Il futuro potrebbe riservarci l’impoverimento neoliberista, le enclave nazionaliste, le economie dirigiste totalitarie, o l’abolizione anarchica della proprietà stessa - probabilmente potrebbe includerle tutte - ma sarà sempre più difficile mantenere l’illusione che qualsiasi Governo possa risolvere i problemi del capitalismo se non per pochi privilegiati. I fascisti e gli altri nazionalisti desiderano capitalizzare questa disillusione per promuovere i propri brand di socialismo esclusorio; non dovremmo spianare loro la strada legittimando l’idea che lo Stato potrebbe essere al servizio dei lavoratori se solo fosse amministrato correttamente.
Qualcuno ha sostenuto che dovremmo sospendere i conflitti con i sostenitori del comunismo autoritario al fine di concentrarci su minacce più immediate, come il fascismo. Eppure la diffusa paura del totalitarismo di sinistra ha fornito ai reclutatori fascisti i loro principali argomenti di conversazione. Nella ricerca di accaparrarsi i cuori e le menti di coloro che non hanno ancora scelto da che parte schierarsi, questo potrebbe solo aiutare a distinguere le nostre proposte di cambiamento sociale da quelle avanzate dagli stalinisti e da altri despoti.
All’interno delle lotte popolari contro capitalismo, violenza di Stato e fascismo, dovremmo garantire lo stesso peso alla lotta tra le diverse visioni del futuro. Non farlo significa dare per scontato in anticipo che saremo sconfitti prima che una di queste visioni possa dare dei frutti. Anarchici, menscevichi, socialrivoluzionari, e altri ancora, hanno imparato a fatica dopo il 1917 che non riuscire a essere pronti per la vittoria può essere ancora più disastroso che non riuscire a esserlo per la sconfitta.
La buona notizia è che non è detto che i movimenti rivoluzionari debbano finire nello stesso modo della Rivoluzione russa. Ne esiste un altro.
Invece di cercare il potere statale, possiamo aprire spazi di autonomia, delegittimando lo Stato e sviluppando la capacità di soddisfare direttamente i nostri bisogni. Invece di dittature ed eserciti, possiamo costruire reti rizomatiche globali per difenderci l’un l’altro da chiunque voglia esercitare il potere su di noi. Invece di cercare nuovi rappresentanti per risolvere i nostri problemi, possiamo creare associazioni popolari fondate sulla cooperazione volontaria e sul mutuo aiuto. Al posto delle economie gestite dallo Stato, possiamo istituire nuovi beni comuni su base orizzontale. Questa è l’alternativa anarchica, che avrebbe potuto aver luogo nella Spagna negli anni Trenta se non fosse stata schiacciata da Franco da un lato e da Stalin dall’altro. Dal Chiapas e Kabylia ad Atene e al Rojava, tutti i movimenti stimolanti e le rivolte degli ultimi tre decenni hanno incorporato elementi del modello anarchico.
I sostenitori delle soluzioni statali affermano di essere più efficaci, ma la domanda è: in cosa sono più efficaci? Non ci sono scorciatoie per la liberazione; non può essere imposta dall’alto. Se miriamo a creare una vera eguaglianza, dobbiamo organizzarci in modo da riflettere tutto ciò, decentralizzando il potere e rifiutando ogni forma gerarchica. Costruendo progetti locali in grado di affrontare i bisogni immediati attraverso l’azione diretta e la solidarietà, connettendoli su scala globale, possiamo fare passi in avanti verso un mondo in cui nessuno potrà governare nessun altro. Il tipo di rivoluzione che vogliamo non può avvenire dall’oggi al domani; è il processo in corso che contempla la distruzione di tutte le concentrazioni di potere, dall’ambito domestico fino alla Casa Bianca.
Mentre le crisi della nostra era diventano sempre più intense, le nuove lotte rivoluzionarie sono destinate a scoppiare. L’anarchia è l’unica proposta di cambiamento rivoluzionario a non essersi insozzata di sangue. Sta a noi aggiornarla per il nuovo millennio, per non essere condannati a ripetere il passato.
Questo testo è adattato dal nostro nuovo libro, The Russian Counterrevolution (La controrivoluzione russa). Puoi scaricarlo qui gratuitamente o ordinare una copia stampata da AK Press.
O lo Stato per sempre, che opprime la vita individuale e locale, che s’impadronisce di tutti i domini dell’attività umana, che sviluppa le sue guerre e le sue lotte intestine per il possesso del potere, le sue congiure che sostituiscono solo un tiranno con un altro e che, inevitabilmente, porteranno alla… morte!
O la distruzione degli Stati, e una nuova vita che ricomincerà in migliaia di luoghi sul principio dell’iniziativa vibrante dell’individuo e dei gruppi e sulla libera intesa.
A te la scelta!
-Peter Kropotkin, Lo Stato e il suo ruolo storico